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27 Luglio 2025 - 14:09
Samantha Sapienza e Veio Torcigliani in una delle scene cult
Che cosa si può chiedere a un capolavoro della lirica come “Tosca” se non di commuovere, stupire, raggiungere i meandri più reconditi dell’animo umano? Ebbene la messa in scena proposta da “Valbormida Classica” non ha deluso le aspettative (alte) del numeroso pubblico presente sabato sera nella suggestiva cornice della Casa del Fattore a Ferrania, nel comune di Cairo Montenotte.
Alla bacchetta, il maestro M. Franco Giacosa ha diretto l'Opera Symphony Orchestra con gesto essenziale, ma carico di significato, senza cedere mai al manierismo o alla retorica sonora. La sua concertazione si rivela un modello di trasparenza e precisione: la tensione tra lirismo e dramma sempre controllata. Le sezioni degli archi, morbide e compatte, si stemperano in un continuo respiro narrativo, mentre gli ottoni (in particolare nei momenti liturgici) conservano un colore dorato e rotondo, mai invasivo ma profondamente evocativo. Il “Coro Lirico Quadrivium”, guidato con sicurezza e raffinatezza da M. Gianni Bergamo, raggiunge punte di assoluta grandezza nel celebre “Te Deum” che chiude il primo atto: un affresco sonoro sontuoso, costruito su un sapiente equilibrio fra sacralità teatrale e intensità drammatica.
Nel ruolo della protagonista, il soprano Samantha Sapienza offre una Tosca di grande nobiltà vocale e finezza interpretativa. La linea di canto si articola con estrema naturalezza, sostenuta da un’emissione salda e da un controllo dinamico esemplare: il timbro, pastoso e luminoso, resta omogeneo su tutta la gamma. La sua “Vissi d’arte” è fraseggiata con un’intelligenza musicale che privilegia la dolcezza al virtuosismo, la verità emotiva alla retorica. Accanto a lei, il tenore Vladimir Reutov è un Mario Cavaradossi di intensa e giovane vitalità. La voce, naturalmente lirica, si espande con sicurezza e calore, modellando con gusto tutte le grandi pagine del ruolo: “Recondita armonia” si distingue per morbidezza d’attacco e legato sostenuto, mentre “E lucevan le stelle” nel terzo atto risuona come un ultimo canto del cuore, eseguito con squisita sensibilità e con un controllo del fiato da manuale. Il fraseggio è curato e mai compiaciuto, e l’interpretazione attoriale, giocata su gesti sobri e sguardi espressivi, comunica una genuina simpatia, una sorta di naturalezza borghese che ben si addice al pittore rivoluzionario.
Veio Torcigliani, nei panni del Barone Scarpia, incarna con carisma e precisione vocale una delle figure più temibili del teatro pucciniano. La voce, scura e granitica, si impone sin dalle prime battute. La gamma centrale è solida e pastosa, mentre gli acuti emergono con forza senza mai sconfinare nella forzatura: crudele e arrogante, ma al contempo affascinante e sottile, costruisce un personaggio a tutto tondo. In scena è imponente senza essere ingombrante, e il suo Scarpia, elegante nei modi e luciferino nell’intento, incarna quella malvagità che sa celarsi dietro la cortina dell’autorità e del decoro.
Tutti ben allineati gli interpreti delle parti secondarie: Paolo Breda Bulgarini nel ruolo del Sagrestano/Sciarrone per puntualità e sicurezza, Marco Veirana (Spoletta), agile e sinistro nei panni della spia, Emil Abdullaiev (Cesare Angelotti) cupo e intenso fuggitivo, Paolo Magni deciso e puntuale carceriere e la giovanissima Angelica Arecco (Pastorello), la cui voce bianca si è distinta per purezza e intonazione, portando una nota di autentica innocenza in apertura del terzo atto.
La regia di Mauro Pagano, nel rispetto della ricostruzione storica, si segnala per l’intelligente uso dello spazio e una sapiente gestione dei movimenti scenici, evitando ogni rigidità museale. L’utilizzo della formula dell’opera-film con l’inserimento di filmati preregistrati e proiettati su un maxischermo si amalgama perfettamente con la messa in scena, consentendo una comprensione a tutto tondo della trama narrativa. La recitazione è naturalistica ma precisa, e l’equilibrio tra rispetto della tradizione e necessaria vitalità teatrale trova una sintesi felice che ha conquistato il pubblico presente.
Un plauso ai costumi e alla scenografia realizzati da Arte Scenica Reggio Emilia con capacità, fondendo l’ambiente naturale circostante con il contesto originale.
Applausi convinti e prolungati al termine della recita: una Tosca che, pur nel solco della tradizione, parla con voce viva, facendo vibrare quella corda segreta che da oltre un secolo tiene uniti il pubblico, la musica e l’emozione più profonda del teatro d’opera.
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