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19 Ottobre 2025 - 09:25
Torquato Tasso e il vescovo Lauro
Non è un gioco di fantasia, ma un episodio vero e affascinante della storia letteraria italiana: Torquato Tasso, iil genio tormentato autore della Gerusalemme liberata, trovò in un vescovo piemontese un interlocutore attento, quasi uno “psicanalista” ante litteram. Si tratta di Vincenzo Lauro, vescovo di Mondovì dal 1566 al 1587, umanista di vasta cultura, medico di formazione, e diplomatico al servizio di sua santità. Lauro, nato nel 1523 a Tropea in Calabria, da famiglia nobile decaduta, aveva studiato medicina oltre teologia, scegliendo poi una carriera diplomatico-ecclesiastica, a Roma come segretario di figure curiali e con loro in missione per tutta Europa. Nel 1561 fu a Parigi col cardinal Ippolito d'Este, della dinastia ferrarese cui Tasso fu legato, e il porporato gli affidò delicati incarichi di controllo dell'eresia a corte. L'avvicinamento al Piemonte sabaudo avviene però nel suo ruolo di medico, chiamato a tale scopo a Torino da Emanuele Filiberto di Savoia, come medico di corte. Gli studi gli attribuiscono una influenza, assieme ad altri intellettuali di corte, nel favorire l'idea di una università monregalese. Tra il resto, procurò allo studio monregalese l'autorevolissimo medico internazionale Giovanni Argenterio, autore di un commentario su Galeno stampato a Parigi (di cui attacca con forza la dottrina degli umori) e del De Morbis.
In questo contesto sabaudo Lauro fu vicino al cardinale Michele Ghislieri, vescovo di Mondovì, grande inquisitore romano e poi papa Pio V, che dopo l'ascesa al soglio pontificio, nel 1566, lo elevò a vescovo di Mondovì ma, in contemporanea, come nunzio presso Maria Stuarda, posizione delicatissima: la regina di Scozia, poi decapitata dalla terribile Elisabetta per questo, si opponeva allo "scisma senza riforma" anglicano voluto da Enrico VIII e proseguito dalla grande regina che avvia lo splendore culturale della potenza inglese. Lauro poi tornò in Piemonte (1568-73), come diplomatico alla corte sabauda, poi in Polonia presso re Stefano Bathory (poco prima del famigerato scandalo di Elizabeth Bathory, nobildonna lontana parente della famiglia reale, accusata e condannata per presunti "riti di sangue" di magia nera). Una gatta da pelare che non toccò però al prelato, che si concentrò come suo solito sull'eresia, approvando anche il rogo del tempio riformato e cercando di favorire in Transilvania un candidato feudale sgradito agli Ottomani, altra minaccia già rintuzzata da Pio V con Lepanto.
Il Lauro tornò quindi nel 1580-1585 in Piemonte per farvi applicare la controriforma, col titolo ormai di Cardinale per i suoi lunghi servigi alla Chiesa (papa Pio V era mancato da tempo). Invece, condusse una intensa attività inquisitoriale, come vescovo e come nunzio apostolico, per continuare l'opera di Ghislieri nell'arginare la riforma protestante, che in Piemonte si saldava ai valdesi (preziosissimi per i riformati, perché segnavano una continuità nella tradizione antipapista).
È a in questi anni che, negli anni più bui della propria esistenza, Tasso scrive alcune delle lettere più accorate. Il "Cardinale del Mondovì" era amico del padre, Bernardo Tasso, conosciuto nell'epoca in cui entrambi erano cortigiani nelle varie corti d'Italia (ed europee, per Lauro). Lauro, nel progredire della sua carriera, gli aveva fornito protezione mecenatistica e lavori, come anche ad Annibal Caro, tra i massimi letterati dell'epoca.
Siamo tra il 1580 e il 1586, negli anni del suo internamento a Sant’Anna di Ferrara, dove il poeta, perseguitato dai sospetti e dalle proprie ossessioni, alternava furore creativo e smarrimento. Le lettere al vescovo-cardinale di Mondovì – che Tasso chiama con reverenza “monsignor Lauro” – sono una sorta di confessione laica, in cui l’autore cerca comprensione più che assoluzione. Da quanto sappiamo Lauro, nelle sue risposte, non reagisce con dogmi o ammonimenti, ma con equilibrio e misura, invitando il poeta alla calma, al riposo, e a un distacco dalle passioni letterarie che lo consumano. Il Lauro aveva come detto grandi interessi letterari, intrecciati a quelli politico-religiosi, e la protezione del Tasso, scrittore inquieto ma dall'abilità sopraffina e dalla fervente volontà controriformista, rientrava in questo ambito. Vari carteggi parlano di una produzione del Lauro piuttosto vasta anche in campo letterario, ma da lui non pubblicata (forse anche per ragioni di opportunità?) e oggi perduta. Rispetto a Tasso, oltre a offrire consiglio e protezione, lo incoraggiò a completare il "Floridante", incompiuto poema del padre Bernardo (con cui era in più intensi rapporti). Tasso però non vi riuscì, né mantenne la promessa, causa la sua salute, di dedicare qualche opera al vescovo monregalese. L'abate Tritonio si spinge ad affermare che il Galateo di Monsignor della Casa è ispirato al Lauro e alla sua sapienza di modi; nel caso sia autentico e non piaggeria, di nuovo non c'è però un omaggio esplicito. Similmente, il Lauro mancò il soglio pontificio: ai tempi, si disse per la sua eccessiva vicinanza alla monarchia francese.
Con gli occhi di oggi potremmo leggere lo scambio tra il dottissimo cardinale medico e il massimo letterato del tempo come il tentativo di una “cura per corrispondenza”, dove il vescovo agisce come un analista che riconosce la sofferenza e cerca di contenerla con la parola. Il vescovo, che aveva conosciuto le corti e le passioni politiche dell’Europa di allora, dove ferveva lo scontro tra cattolici e protestanti, poteva capire al meglio la fragilità del poeta e la sua ricerca di un punto di riferimento paterno. Si potrebbe dire che, tra Ferrara e Mondovì si svolse un dialogo europeo dell’anima, dove la fede si intrecciava alla nascente consapevolezza psicologica dell’uomo moderno.
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