L' Italia ha conquistato lo scorso fine settimana la sua terza coppa Davis di tennis consecutiva, quarta totale nella storia, al termine di una finale disputata nel catino casalingo di Bologna. È da tutti riconosciuto che il tennis nostrano stia attraversando la sua epoca d'oro: trofei, campioni e visibilità internazionale, con i maggiori eventi di questa parte di stagione organizzati qua da noi. Quest'ultimo trionfo ha un sapore ancora diverso, perché ottenuto non dai campionissimi da copertina ai vertici assoluti delle classifiche, ma da chi è ancora poco noto al grande pubblico oppure da chi è in cerca di riscatto, e che ha dimostrato di essere all'altezza. Cobolli si è conquistato la scena esaltando la platea coi game decisivi, dopo che Berrettini aveva messo fieno in cascina, portando in vantaggio gli azzurri e prendendosi una rivincita sui numerosi infortuni. Tante storie personali si muovono dietro il tennis, come tanti maestri hanno giocato un ruolo fondamentale in questo sport. I team di allenatori che seguono i campionissimi, i talent scout, ma anche e i moltissimi "maestri"di provincia che hanno aiutato i più giovani agli inizi, ad impugnare correttamente la racchetta. Proprio in queste settimane è nei cinema un film che parla di uno di loro: "Il maestro" diretto da Andrea Di Stefano, interpretato da Pierfrancesco Favino. Coppia che si rinnova dopo il noir "Ultima notte di amore", per una dramedy sportiva. Il cinema ha spesso raccontato i grandi dualismi della racchetta, presentato biopic di star del passato, e ambientato storie di invenzione nei tornei di massimo livello. Qui invece scendiamo ai piani umili del tennis amatoriale e giovanile: intriso di passione e fanatismo, illusioni e sacrifici, sogni e problemi. I sogni sono quelli di Felice, adolescente che vuole diventare un campione, anche per rendere orgoglioso il papà, metodico impiegato Sip. I problemi sono quelli che attanagliano la vita di Raul Gatti "assunto" dal padre di Felice per accompagnarlo nei tornei nazionali estivi e fargli compiere il salto di qualità. Due personalità agli antipodi e un ragazzo da formare. Gli schemi sui quaderni da eseguire per un gioco difensivo contro un tennis offensivo e propositivo, più vicino alla filosofia di Raul. Due modi di giocare, due metafore diverse su come approcciare la vita. La pianificazione totale dell'esistenza opposta all'estro e improvvisazione. Forse troppa. Perché Raul non sa gestire le situazioni come non riusciva a gestire un talento sul campo soffocato da troppe fragilità caratteriali. Un'esistenza a pezzi nascosta dietro un volto spavaldo che inizia a emergere tra una conquista amorosa e una partita persa da Felice.
Scelte che l'hanno portato a non "stare nei binari" e compiere sbagli, finendo in cliniche riabilitative e cure con psicofarmaci. Grandi sbalzi d'umore e un rapporto conflittuale con le responsabilità, e un passato che ritorna dopo una crisi tremenda, con una figlia mai conosciuta ad attenderlo. E il presente della consapevolezza di non avere tra le mani un campione, ma un ragazzo comune caricato di troppe responsabilità, da proteggere a modo suo. Alla fine il Maestro è una persona che può sbagliare su di se, ma comunque riesce a dare all'allievo l'insegnamento giusto.
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