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Omicidio Maria Orlando, la badante: «Mi disse che aveva paura del marito»

In aula la testimone racconta l’ultimo incontro con la vittima: «Era contenta di vedermi»

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La casa di via Josina

Maria Orlando l’aveva conosciuta solo pochi mesi prima eppure, da subito, l’aveva accolta «come una figlia». La badante della donna assassinata a Beinette nel giugno 2024, per mano del marito Ernesto Bellino, ricorda con affetto quella signora di 79 anni che per poco più di un anno ha assistito tutti i pomeriggi, mentre i primi segni dell’Alzheimer avanzavano implacabili.

L’ultimo incontro, dice la 52enne filippina, solo il giorno prima: «Era contenta, contentissima. È per questo che non me lo aspettavo». Quello che “non si aspettava” sarebbe accaduto poche ore più tardi, causa, secondo l’omicida reo confesso, una banale lite: «Tu non hai niente, la vera malata sono io», le avrebbe detto la moglie, scatenando la furia del pensionato 75enne, affetto da depressione cronica e più volte in cura.

Oltre cinquant’anni di convivenza matrimoniale tra liti e incomprensioni, a detta anche del figlio. La badante di tutto questo sa poco, giusto qualche sparsa confidenza raccolta dai coniugi. Ma ricorda la gioia dell’anziana quando lei arrivava a casa: «Lei mi insegnava a ballare, mi insegnava anche a cantare in italiano e siciliano»: la signora Bellino ballava bene, mettevamo la musica dal telefonino. Facevamo anche dei video, quando veniva suo marito però smettevamo di farlo. Ogni tanto, però, le diceva frasi come «meno male che sei arrivata». «Diceva che aveva paura del signor Bellino, che era cattivo». Ogni tanto parlava di soldi. Dopo cambiava discorso e io non ci pensavo, sapendo che era malata di Alzheimer.

Nonostante la malattia, aggiunge, la signora era ancora abbastanza autosufficiente. Il marito approfittava della sua presenza per concedersi lunghe uscite, soprattutto per fare la spesa: quasi mai si trovavano insieme tutti e tre. Eppure, in quei momenti, non sembrava esserci nulla di allarmante: «Il signor Bellino non mi ha mai trattata male, anche la signora mi trattava bene».

Sui rapporti con la moglie e gli ultimi istanti di vita di lei l’imputato aveva parlato per ore, rispondendo alle domande del pubblico ministero. Un’audizione fiume, continuata anche nell’ultima udienza davanti agli avvocati della parte civile e della difesa, Enrico Gaveglio e Fabrizio Di Vito: «Anche se mi trattava male stavamo bene, avevo bisogno di lei e mio figlio aveva bisogno di tutti e due». Tra i singhiozzi ha ripercorso di nuovo le sequenze dell’omicidio: «Avevo voglia di lasciarla libera, ma qualcosa dentro di me mi diceva “perché mi dice queste cose?”». La presidente della Corte d’Assise fa domande su un’espressione forte e terribile rilasciata ai Carabinieri, chiedendo se è vera. «Penso di sì – risponde l’accusato –, il mio stato d’animo era quello che era». La discussione del processo è fissata per il pomeriggio del prossimo 28 gennaio.

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