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Quegli otto anni di guerra civile fra i “mondovìti”: «Ci si sparava in faccia»

Il prof. Roberto Rossetti ha ricostruito una fase della storia di Mondovì di fine 1700 che sembrava sepolta e dimenticata

Quegli otto anni di guerra civile fra i “mondovìti”: «Ci si sparava in faccia»

Il prof. Roberto Rossetti ha ricostruito una fase della storia di Mondovì di fine 1700 che sembrava sepolta e dimenticata

Il prof. Roberto Rossetti ha ricostruito una fase della storia di Mondovì di fine 1700 che sembrava sepolta e dimenticata

Era iniziata come una ricerca storica su episodi notissimi: il 1796, piemontesi e austriaci a Mondovì contro l’esercito di Napoleone, la Battaglia del Bricchetto, eccetera. Ma poi il lavoro del prof. Roberto Rossetti, storico monregalese autore già di tanti lavori, saggi e libri, ha preso una svolta: «Inattesa perfino per me – ci racconta –: perché ho ricostruito un risvolto che si era perso fra le pieghe, diciamo così, della “storia più grande”».

Una “storia nella storia”: «Una vera e propria guerra civile fra i monregalese, anzi fra i “mondovìti” come si chiamavano all’epoca, che durò dal 1796, anno della storica battaglia, al 1804, anno dell’incoronazione di Napoleone».


Mentre i francesi facevano fuoco… Mondovì si divideva

Guerra civile… fra chi e chi? «Fra le fazioni monregalesi. Da una parte le famiglie dei nobili, dei marchesi, dei conti, e al loro fianco quelle ecclesiastiche, insomma “l’ancien régime” che stava dalla parte dei Savoia, perché sapeva che il dominio francese significava la perdita di tutti i loro titoli. E dall’altra dei veri e propri filo-giacobini, che arrivavano dalla popolazione civile, dalla borghesia, dai mercanti e dagli artigiani, a cui piaceva questa “novità” della libertà uguale per tutti. E c’era addirittura una fazione che potremmo definire “patriota”, risorgimentale ante-litteram, che non solo sognavano la Repubblica ma addirittura già una “Repubblica piemontese”».

Una guerra civile vera: «Famiglie sfasciate al loro interno – continua Rossetti –, tra padri che continuavano a difendere il regime sabaudo e figli che parteggiavano per i francesi. Ci si sparava in faccia». E tornano alla luce storie poco e per nulla note: come “l’albero della libertà” piantato a Piazza, alle cui radici i fautori della libertà gettavano le ciocche di capelli.

O la figura del “pastorello”, forse un calzolaio, commerciante o artigiano, che col suo temperamento e la sua parlantina sobillava la popolazione a ribellarsi.

L'antico teatro dimenticato ora si può visitare

Un tesoro del 1800 chiuso da decenni: l'ex Teatro Sociale di Mondovì

La “rivalità” fra Piazza e “i Piani”

Il teatro degli scontri veri fu, non a caso, quasi sempre piazza Maggiore. Rossetti pone anche un punto interessante: «Questa guerra civile vedeva una divisione fra il rione alto della città, Piazza, quello delle famiglie nobili, istruite, e i Piani, la parte bassa. Forse è qui che si trovano le radici di una contrapposizione rionale che riecheggi a lungo».

E in mezzo a tutti questo, c’era l’Amministrazione Civica: il sindaco, i suoi consiglieri. «Un ruolo difficile, quello dei governanti cittadini. E hanno sempre cercato di evitare esasperazioni, di tenere al centro il “bene della città” senza sbilanciarsi e facendo patti con gli eserciti che avevano preso il sopravvento, che cambiarono di continuo in quegli otto anni. Non fu facile, e io ritengo che questa capacità di mediare sia stata la salvezza della città».

E tuttavia è qui, sottolinea Rossetti, che la grande Mondovì – città importantissima, nel Piemonte dell’epoca, rivaleggiava con la stessa Torino, anche grazie alla sua posizione che la rendeva strategica in ogni forma di commercio, in primis il sale ma non solo – inizierà a “decadere”: perdendo il suo ruolo storico e il prestigio.

«Ma non solo – aggiunge lo storico –: io ritengo che in quel momento il contrasto sociale interno abbia avuto un ruolo chiave. Spesso gli storico si focalizzano più sui fatti documentabili e meno sugli aspetti sociologici, ma per me questo aspetto è altrettanto importante».

La battaglia di Mondovì, opera di Giuseppe Pietro Bagetti


La “Battaglia di Mondovì”

La ricerca ha come fulcro i 230 anni dalla prima Battaglia di Mondovì. L’esercito napoleonico, guidato da Jean Mathieu Philibert Sérurier, prese San Michele e fronteggiò l’esercito dei “dragoni” sabaudi al Bricchetto alle porte di Mondovì: i piemontesi si arresero il 21 aprile 1796. Questa è una storia, nota. Rossetti: «Mondovì fu presa dai francesi e sottratta al loro dominio quattro volte. La più tragica è forse quella del 1798, quando l’esercito francese mise a ferro e fuoco la città, razziando, uccidendo violentando». I prigionieri sopravvissuti vennero rinchiusi nella Cittadella. Chi potè, scappò: a Vico, alle Moline, nelle vallate.

Un contesto storico, quello della campagna italiana napoleonica, che genererà anche episodi truci, come il vero e proprio massacro da parte delle truppe francesi del 1798 e la “vendetta” della cosiddetta “fiera di Priero” del 1799, quando civili piemontesi fecero a pezzi una truppa di francesi che si stava ritirando, mogli comprese.

Sì, ma… le fonti?

Per la sua ricerca, il prof. Rossetti si è appoggiato a fonti storiche, in primis quelle del canonico Gioacchino Grassi di Santa Cristina che fu narratore “in prima linea” (e anche protagonista dei fatti) e poi agli scritti di Nino Carboneri, del prof. Amedeo Michelotti (del celebre “La storia di Mondovì”) e del dott. Domenico Occelli. «Non ho ancora deciso come intitolerò questo saggio – ci dice Rossetti –. Anche perché era iniziato con un focus sulla presa della città da parte di Napoleone, e ora si sta un po’ spostando man mano che vado avanti. Questo risvolto di guerra civile è quasi sconosciuto, sparito all’ombra dei fatti più famosi».
Ci ha pensato lui a riportarlo alla luce.

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