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19 Ottobre 2025 - 15:43
Il vescovo, mons. Egidio Miragoli, durante la Messa
Intenso pomeriggio di fede, domenica 19 ottobre, in Cattedrale a Mondovì Piazza per la riapertura della chiesa, dopo i lavori di adeguamento liturgico del presbiterio. All’interno della celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo mons. Egidio Miragoli, momenti significativi, in particolare la consacrazione dell’altare e la benedizione della nuova cattedra episcopale e dell’ambone. Dalle parrocchie e dalle Associazioni, in molti hanno partecipato alla Messa.
L'omelia del vescovo, durante la celebrazione
Ha scritto il teologo Romano Guardini che “noi viviamo in un mondo di segni ma abbiamo perduto la realtà da essi significata”, e che “riconosciamo vera forza di rinnovamento là ove l’uomo è di nuovo sensibile all’urto dell’essere, vi si arresta dinnanzi, ammira, interroga”.
Ho pensato di muovere da queste due dense citazioni, che stanno nell’introduzione allo stesso libro, I santi segni, proprio perché vorrei che oggi, in occasione della riapertura della nostra Cattedrale, tutti noi sapessimo leggere alcuni simboli cogliendo la realtà cui essi rimandano e che questo “urto”, come lo chiama Guardini, sapesse davvero colpirci, scuoterci, farci nascere domande e magari donarci anche qualche risposta.
Singolarità di questa celebrazione
Dopo alcuni mesi la Cattedrale riapre le sue porte ad accogliere tutti noi presenti rappresentanti dell'intera comunità diocesana per questa celebrazione che assomma alcuni caratteri di “unicità”, se non addirittura di straordinarietà.
A provarlo, anzitutto, sono alcune presenze non usuali di personalità che saluto e ringrazio, a partire dal Vescovo emerito Mons. Luciano Pacomio, che per tanti anni ha guidato la nostra diocesi celebrando sotto queste volte; saluto e ringrazio il Vescovo di Lodi Mons. Maurizio Malvestiti, il Vescovo che mi ha consacrato e che oggi condivide con noi questo giorno di festa. La consacrazione episcopale tramite l'imposizione delle sue mani ha rafforzato il legame spirituale tra di noi, ma, è bello pensarlo, nella mia persona, anche tra le nostre chiese di Mondovì e di Lodi.
Saluto tutti i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, i rappresentanti delle parrocchie e gli amici venuti da fuori; saluto e ringrazio tutte le autorità e i rappresentanti delle varie istituzioni.
Dicevo che la celebrazione di oggi ha dei caratteri di unicità: il rito è altamente suggestivo. Parleranno soprattutto i testi biblici, e le orazioni.
Ma oggi la nostra attenzione si concentra sui tre nuovi elementi che vengono inseriti nello spazio liturgico rinnovato, ovvero: la Cattedra episcopale, l'ambone, l'altare.
Ciascuna di queste realtà è un segno e, secondo quanto accennavo all’inizio, come tale rimanda a significati che mi piacerebbe cogliessimo insieme.
In questa prospettiva ripercorriamo in maniera didascalica ma, spero, utile, il significato di questi tre elementi, nella sequenza che la liturgia stessa ci fa vivere
Cathedra, vox Ecclesiae
Muovo, dunque, dalla Cattedra episcopale. La Cattedra secondo l’antica tradizione è il seggio riservato al Vescovo quando presiede l’assemblea liturgica, e la chiesa dove il Vescovo tiene la Cattedra ha appunto il titolo di Cattedrale.
Benedetto XVI, prendendo possesso della Cattedra del Vescovo di Roma in San Giovanni in Laterano ha speso parole bellissime.
“Il Vescovo”, disse, “siede sulla sua Cattedra per dare testimonianza di Cristo. Così la Cattedra è il simbolo della potestas docendi, quella potestà di insegnamento che è parte essenziale del mandato di legare e di sciogliere conferito dal Signore a Pietro e, dopo di lui, ai Dodici”.
Aggiunse poi con lucida intelligenza delle cose: “Questa potestà di insegnamento spaventa tanti uomini dentro e fuori della Chiesa. Si chiedono se essa non minacci la libertà di coscienza, se non sia una presunzione contrapposta alla libertà di pensiero. Non è così. Il potere conferito da Cristo […] è, in senso assoluto, un mandato per servire. La potestà di insegnare, nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede. Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo” (Benedetto XVI, 7 maggio 2005).
Il nesso fra insegnamento e servizio vale non solo per il Vescovo di Roma. Vale per tutti i Vescovi della Chiesa universale, successori degli Apostoli. E la Cattedra è il luogo fisico dove quel connubio prende forma e concretezza. Dalla Cattedra il Vescovo insegna facendosi servo della Parola di Dio, la luce che sola può salvare l’uomo dalle sue derive, così evidenti nel nostro tempo scristianizzato e confuso. Una garanzia di grandezza sta proprio nell’obbedienza che Benedetto XVI ha ben evidenziato: il Vescovo non proclama sue idee, ma la Verità di Cristo, cioè la Parola che si è incarnata nel mondo per metterlo al riparo dal male.
Il simbolismo della Cattedra
Un antico adagio, amplia poi l’orizzonte con la sinteticità della lingua latina, quando dice: Qui docet regit, qui regit docet et sanctificat (“Chi insegna, governa; chi governa, insegna e santifica”).
Quindi, il Vescovo predicando presiede e guida, e guidando insegna e santifica. Gioco di parole che in realtà pone in evidenza un altro nesso: la predicazione, benchè con i toni dell’esortazione, è indicazione di vita per la Diocesi, i sacerdoti e i singoli fedeli, e in quell’indicazione abita un magistero che conduce alla santità. Certo, a condizione imprescindibile che il Vescovo presti la sua voce a Cristo, insegni Cristo, governi avendo Cristo buon pastore come modello.
La nuova Cattedra è arricchita di elementi che la pongono in continuità tra passato e presente: due bassorilievi raffigurano san Donato che predica al popolo e san Pio V raccolto in preghiera. Sul frontale del sedile sono riportate invece le parole di Paolo “in eo qui me confortat” (Fil. 4,13): in Colui che mi dà forza. Esse vogliono ricordare indubbiamente anche il mio motto episcopale, e in un certo senso datare la Cattedra, ma soprattutto mi auguro siano parole capace di infondere sempre coraggio e fiducia al mio ministero e a quello dei miei successori, ricordandone la sorgente. In alto, sullo schienale, infine, campeggia il monogramma di Cristo (Chi Rho) combinazione di lettere dell’alfabeto greco (XP) che formano l’abbreviazione del nome di Cristo alfa e omega (α – ω) principio e fine di tutte le cose. Tale incisione è ben visibile anche quando la celebrazione liturgica è conclusa.
Ebbene, la Cattedra vuota potrà comunque offrire ai fedeli i medesimi pensieri che il trono vuoto (hetimasìa) - un motivo iconografico di origine orientale, sovente un mosaico – suggeriva a chi lo contemplava nelle antiche basiliche: il richiamo alla “invisibile presenza” di Cristo, o, più ancora, la lieta attesa del suo ritorno. La certezza che un giorno Cristo glorioso ritornerà e verrà ad occupare quella Cattedra vuota, per giudicare i vivi e i morti, per chiamarci alla comunione piena con sé. Quella comunione che oggi, qui, nell’Eucaristia, è anticipo e promessa di una più piena ed eterna.
L’ambone: per una Chiesa della Parola e dell’ascolto
L'ambone e il suo significato ci sono indubbiamente più familiari, sicché mi ci soffermerò meno. La prima lettura (Ne 8, 2–4.5-6.8-10) del resto ci ha narrato un episodio biblico che ad esso rimanda e ci ricorda la postura spirituale con la quale stare davanti alla Parola di Dio da questo luogo annunciata
Il nostro ambone, più discreto nelle sue proporzioni rispetto agli altri elementi ma importante nel suo valore, reca in sé scolpiti i quattro evangelisti, perché il Vangelo è senza dubbio il compimento della rivelazione affidata alla Parola, che in Gesù si è incarnata.
Cattedra e ambone sono stati messi in modo più evidente al servizio dell’assemblea: dalla prima il Vescovo fa suo e rilancia il pensiero di Cristo, ma dal secondo parla Cristo stesso, dicendoci parole di vita eterna che hanno attraversato i secoli e sono giunte fino a noi. Quale responsabilità, dunque, per chi proclama la Parola di Dio! È Parola da proclamare con chiarezza, dignità e proprietà (alludo ai lettori e ai diaconi) perché tutti possano comprendere; Parola da accogliere, custodire e vivere per tutti coloro che ascoltano.
L’altare, cuore della Cattedrale e centro dell’assemblea liturgica
Ma questa sera il posto d'onore spetta proprio all'altare. Ad esso va riservato il nostro primario interesse spirituale, su di esso converge il rito della dedicazione.
Lo spazio sacro che oggi viene inaugurato è uno spazio riformato, dopo un intervento provvisorio che tanti anni fa aveva semplicemente predisposto un altare rivolto verso il popolo. In realtà avevamo solo una forma di altare, poiché disponevamo soltanto di una struttura di legno nascosta dal paliotto frontale e dalle tovaglie. L’attuale intervento ha voluto riprendere i problemi allora non risolti, allargando lo spazio presbiterale e collocandovi i nuovi elementi che oggi inauguriamo.
L’altare che oggi prende posto nella nostra Cattedrale è costituito da una scultura in bronzo chiamata a sorreggere la grande pietra che verrà consacrata. Davvero, guardandolo, possiamo parlare di “nobile semplicità”.
Su ogni lato, una scultura illustra un classico testo liturgico, la sequenza del Corpus Domini che del Pane Eucaristico dice: "Con i simboli è annunciato: / in Isacco dato a morte, / nell'agnello della Pasqua, / nella manna data ai padri”. Da qui le tre raffigurazioni che lo adornano: ai lati, il sacrificio di Isacco e la raccolta della manna, di fronte l’agnello pasquale.
L’altare è il luogo dell’Eucarestia, del pane consacrato, del cibo che ci salva.
Al suo interno verranno deposte, secondo la tradizione, le reliquie dei santi, in particolare di san Donato di Arezzo, Vescovo e martire cui da sempre è dedicata la nostra Cattedrale; di san Pio V, papa, già 17° Vescovo di Mondovì; e infine, di San Bassiano primo Vescovo di Lodi, Vescovo “per 35 anni e 20 giorni”, presente al Concilio di Aquileia del 381 dove fu difesa la divinità di Gesù Cristo contro l'eresia ariana. L'aggiunta della reliquia del santo Vescovo di Lodi donataci dal suo successore, il Vescovo Maurizio, vorrebbe esprimere ulteriormente un legame spirituale tra Mondovì e Lodi, a ricordo della diocesi di provenienza del Vescovo che questo altare ha voluto, pensato e che oggi ungo con il sacro crisma.
Sarà il prefazio consacratorio, poi, a proclamare l'identità spirituale dell'altare, dopo averci ricordato gli antecessori dell'altare cristiano, quello di Noè, di Abramo, di Mosè. L'altare cristiano, infatti è l'erede di una trasmissione ininterrotta, come se su di esso si fosse concretizzata tutta la storia religiosa dell'umanità.
Tavola e altare: due modi non alternativi
Il termine “altare”, tuttavia, non definisce completamente la verità di questo segno: esso infatti è nato come mensa, destinata ad accogliere la famiglia di Dio. Questa mensa da una parte richiama ed evoca quella attorno a cui Gesù Cristo, la vigilia della sua passione, istituì la Cena eucaristica, e dall'altro lato la mensa del Convito celeste, dove i discepoli di Gesù, secondo una festosa immagine biblica, ceneranno con Lui e Lui con loro.
La tradizione cristiana ha conferito il nome di altare alla mensa eucaristica perché partecipando ad essa i cristiani entrano in comunione con la morte e la risurrezione di Cristo e con Cristo offrono se stessi in sacrificio spirituale per la gloria e la salvezza del mondo.
Il rito della dedicazione, poi, è una sintesi viva e significativa dell'esistenza cristiana. La sua abluzione con l'acqua benedetta, l'unzione con il crisma, il profumo dell'incenso che da esso sale e che lo avvolgerà, il suo rivestimento festoso e la sua illuminazione presentano ai nostri occhi l'itinerario dell'iniziazione cristiana (battesimo, cresima, eucaristia) da noi percorso per diventare conformi a Gesù Cristo. Si dedica un altare come si dedica una persona alla vita di Cristo. Il parallelo tra dedicazione e iniziazione cristiana sottolinea il rapporto che intercorre tra la chiesa di pietra e la Chiesa come comunità cristiana, come ci ha ricordato Paolo nella prima lettura (cf 1 Cor 3,9-11.16-17).
Riassumendo: è bellissimo pensare come Cattedra, Ambone e Altare siano riflessi dell'unico Signore, Gesù Cristo: nella Cattedra, Gesù è il Maestro della Verità; nell’ambone, Gesù è il Verbo della Vita; nell’altare, Gesù è il Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza. Il tutto attraverso la Chiesa e il ministero del Vescovo che guida, che annuncia e santifica in nome di Cristo.
Il segno della Cattedrale, casa della Chiesa locale
Segno dei segni, che tutti li racchiude, però, è la Cattedrale. Dal Cerimoniale dei vescovi possiamo coglierne i tratti essenziali.
La chiesa Cattedrale è quella nella quale si trova la Cattedra del Vescovo, segno del magistero e della potestà del pastore della Chiesa particolare, nonché segno dell'unità di coloro che credono in quella fede che il Vescovo proclama come pastore del gregge.
La chiesa Cattedrale nella maestà delle sue strutture architettoniche, è anche possente simbolo della Chiesa visibile di Cristo, che in questa terra prega, canta e adora; il corpo mistico. Per questo la chiesa Cattedrale giustamente deve essere considerata il centro della vita liturgica della Diocesi. Nell'animo dei fedeli sia inculcato, nelle forme più opportune, l'amore e la venerazione verso la chiesa Cattedrale. Con un'ultima raccomandazione:
La chiesa Cattedrale sia dimostrazione esemplare alle altre chiese della Diocesi di quanto è prescritto nei documenti e libri liturgici circa la disposizione e l'ornamentazione delle chiese (cf Caeremoniale episcoporum, nn.42-46).
Per i motivi più svariati, anche molto pratici, a volte la Cattedrale ospita una parrocchia, come nel nostro caso. E da questo trae pure giovamento, poiché viene mantenuta viva, aperta, frequentata. Ma le due realtà non vanno confuse. Al contrario, bisognerà salvaguardare e promuovere, comunque e sempre, la Cattedrale nel suo significato di chiesa episcopale, “chiesa madre”, icona riassuntiva della Diocesi, "dimostrazione esemplare" alle altre chiese per disposizione, ornamento, stile liturgico e celebrativo.
Carissimi, grande è dunque il mistero della Cattedrale, di questa Cattedrale, luogo simbolico, impregnato di storia e di arte, luogo di insegnamento e di governo, punto di riferimento e di unità.
Per questo, avere zelo per la Cattedrale e per ciò che ospita è dovere del Vescovo e di ogni cristiano che nella Chiesa locale cerca guida e luce e che alla Chiesa locale offre il suo tributo di fede e di vita. Chissà che anche una ulteriore bellezza donata a questa Cattedrale ci porti ad amarla ancora di più, e ad amare la nostra Chiesa locale di cui essa è segno.
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